S/paesati

L’ESTRANEA DI CASA

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con Raffaella Giancipoli
video animazioni Beatrice Mazzone
spazio scenico Bruno Soriato
disegno luci Tea Primiterra
assistente alla regia Annabella Tedone
consulenza linguistica Nina Balan
regia e drammaturgia Raffaella Giancipoli
produzione Compagnia Kuziba e Compagnia Bottega degli Apocrifi
con il sostegno di Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura
si ringrazia Sistema Garibaldi, Resextensa, Teatrermitage, Spazio PolArtis, Teatro delle Condizioni Avverse

“La Signora conta le malattie e io i suoi anni. Lei trattiene la mia giovinezza, io cullo la sua vecchiaia.”
Tetyana Kochetygova, badante e poetessa dal libro Il Paese delle badanti, Francesco Vietti

Una partenza notturna, un pulmino carico di donne. Lasciarsi alle spalle la propria terra per assicurare un futuro ai figli. Una donna, due vite: da un lato la Romania, dove qualcun altro si occupa dei suoi figli; dall’altra l’Italia, dove lei si prende cura degli anziani. Questa è la storia di Luminiţia, un’insegnante rumena che suo malgrado diventa badante. Ma è anche la storia di Chella, un’anziana signora restìa ad accettare un’estranea in casa sua. Ed è la storia di Alexi, il marito rimasto in Romania, capo di famiglia ‘perdente’, e diMariangela, figlia dell’anziana donna che per la sua realizzazione fuori dall’ambito familiare paga un prezzotroppo alto fatto di rimorsi e sensi di colpa. Un coro di voci che prende corpo nel buio delle notti, prima quelle rumene passate nel dubbio della partenza, poi quelle del lungo viaggio attraverso la paura alle frontiere e poi le notti italiane, notti senza fine in cui Luminiţia fa sempre lo stesso sogno: va all’aeroporto aprendere i suoi figli che la raggiungono in Italia e questi non la riconoscono, la cacciano, cercano la madre. Ma l’estranea di casa è soprattutto la storia di Culin, un bambino cresciuto al telefono trastorie della buonanotte e promesse di ritorno; un orfano di madre viva, disposto a tutto pur di riportare a casa la mamma, finalmente.
Ma chi sono queste donne che arrivano dalla Romania, dalla Polonia, dall’Ucraina? Cioè chi sono al di là del loro lavoro di badanti? Chi sono state? Cosa hanno lasciato a casa? Cosa immaginano per il futuro? Fare la badante non è esclusivamente un lavoro, è una modalità dell’esistenza caratterizzata da una strutturale sospensione; da un lato la vita nel proprio paese lasciata in attesa di essere vissuta di nuovo, nella quale le donne migranti sono presenti attraverso regali, soldi, telefonate e pensieri; dall’altro lato la vita qui in Italia, una vita temporanea, transitoria ma vissuta in carne e ossa, ventiquattr’ore su ventiquattro. Questa condizione è caratterizzata da un grande paradosso: abbandonano figli, mariti, fratelli e genitori, si sradicano volontariamente dai propri affetti e dalle proprie relazioni per trasferirsi in Italia dove il lavoro che le aspetta le chiama a dare affetto, a ‘tenere insieme’ le nostre famiglie occupandosi dei membri più deboli, gli anziani. Abbandonano la propria famiglia per occuparsi della famiglia di qualcun altro. Un paradosso che ci chiama a riflettere sulla vita delle badanti, liberandole dal loro ruolo e restituendo loro una dimensione umana, ma anche sulla nostra società perché come spesso accade il confronto con l’altro ci parla di noi, svela i nostri cambiamenti, ci mostra l’immagine di cosa stiamo diventando come individui e come comunità.

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